Ora lo posso anche dire: lunedì ho firmato IL contratto di
lavoro, quello a tempo indeterminato.
Tutti mi chiedono “Allora, come hai festeggiato? Sarai
felicissima!” e a me tocca rispondere che non ho festeggiato ma che sì, sono
felice ma non così felice da farmi venire una paresi facciale sorridendo.
Primo, perché secondo me un contratto di lavoro decente non
dovrebbe essere l’eccezione ma la regola. Secondo, perché la mia - alla fine
dei conti - è un’anima precaria.
Ho realizzato che nonostante la firma sul contratto, rimarrò
sempre la persona che cerca qualcosa di nuovo e di migliore per sé.
In sostanza per me questo non è un punto di arrivo ma un
punto di partenza.
E come tutti i punti di partenza ti porta a riaggiornare i
tuoi piani, come un navigatore che ricalcola il percorso.
Le mie mansioni sono rimaste sempre le stesse, con l’aggiunta
di diverse cose nuove che dovrò imparare . Nuovo ufficio, nuovi colleghi, nuovi
responsabili.
Le brutte abitudini – quella di rimanere in ufficio oltre il
mio orario, quella di ringraziare sempre, quella di smazzarmi sempre per
cercare di capire le cose – quelle me le sono portate dietro.
Grandissimo caos emotivo, comunque.
Ieri quando l’orologio ha segnato le 16.30, mi sono sembrate
le 16.30 più belle della mia vita.
Sono uscita dalla porta, mi sono fatta abbracciare
dall’ultimo raggio di sole e ho preso un bel respiro. Ma soprattutto ho
realizzato che avevo fame…perché è da una settimana che i miei pranzi
consistono in un pacchetto di crakers.
Tornando a casa, stravaccata sulle poltroncine dell’autobus
col mio ipod nelle orecchie, mi sono quasi commossa osservando che c’era ancora
della neve sotto gli alberi e ai lati della strada.
Sono stata accecata dall’ansia di non fare brutta
impressione per tutta la settimana.
E’ stata una settimana pesante, come tutte le prime
settimane.
Sembra che ovunque io vada, ogni volta che stringo un mano
tutti sappiano chi sono (“Ah, sei quella che volevano assumere a tutti i
costi…”).
Questo non fa altro che aumentare la mia ansia da
prestazione. E’ come se tutti mi guardassero, pronti a ridere di me al mio
primo sbaglio.
Io non sono fatta per certi “giochetti”. Io faccio il mio
lavoro. Punto.
Io faccio un lavoro. Io non sono un lavoro. Punto.
Vorrei solo che questo mantra mi si ficcasse in testa ogni
volta che arriverà un momento difficile o una delusione. Ogni volta che
qualcuno proverà a farmi le scarpe o a mettere in dubbio il mio valore.
Io non sono un lavoro. Io faccio un lavoro.
Punto.