Nell’ultimo periodo ho volutamente deciso di non seguire telegiornali
et similia.
La mia vita è già abbastanza caotica e non sento il bisogno
di essere costantemente ragguagliata sull’andamento dello Spread o di prendere
parte alle conversazioni da salotto dei programmi di approfondimento.
Una cosa però è riuscita ad attirare la mia attenzione: mi
riferisco alla dichiarazione del Ministro del Walfare Elsa Fornero durante un
convegno di Assolombarda.
La Fornero invita i giovani a non essere troppo choosy -
schizzinosi – quando si tratta di lavoro. “Meglio accettare la prima offerta di
lavoro che capita e poi, da dentro, guardarsi intorno, perché non si può
aspettare il posto di lavoro ideale”, dice.
Effettivamente, penso io, mica ha tutti i torti: se uno sta
ad aspettare che le cose gli cadano dal cielo, è molto più probabile che si
prenda una tegola in testa piuttosto che i suoi sogni si realizzino.
Eppure c’era qualcosa in quella frase che mi infastidiva
profondamente.
C’è un detto a Bologna, di sicuro politicamente scorretto ma
molto veritiero, che recita “si è tutti busoni…col culo degli altri!”.
Parafrasando, la colorita espressione sta a sottintendere
che è facile parlare o dare consigli su qualcosa se certe problematiche non ci
toccano da vicino.
Il popolo di internet si è sbizzarrito nelle repliche
all’affermazione della Fornero ed alcune di queste sono davvero esilaranti e
tristemente geniali.
Non voglio generalizzare: è vero che ci sono giovani che se
ne stanno a braccia conserte ad aspettare che arrivi “l’occasione perfetta” ma
credo che questi siano una minoranza rispetto all’enorme esercito di giovani
precari o disoccupati disposti a tutto pur di lavorare.
Quello che mi indigna nell’affermazione della Fornero è che
il Ministro non considera un piccolo dettaglio: il mercato del lavoro è in
crisi.
In crisi sotto molti aspetti. Pratici e soprattutto etici.
In primis, di lavoro ce n’è poco. Le aziende sono in
ginocchio, non si assume e non si investe.
Chi ha un lavoro (specialmente se “fisso”) se lo tiene
stretto anche se gli fa schifo e anche se voleva fare altro nella vita.
Il mercato del lavoro è in crisi perché siamo un paese dove
il termine “meritocrazia” non esiste più nemmeno sul vocabolario. Come si può
non condividere l’incazzatura di uno/a che passa anni e anni sopra i libri o
che si fa un mazzo tanto per imparare un mestiere e che si vede passare davanti
“il figlio di/l’amico di/il parente di”? O che magari ci mette il triplo del
tempo “ad arrivare” proprio perché senza sponsor alcuno? Come fa ad andare
avanti un sistema dove chi lavora, è selezionato non per le sue competenze o
capacità ma per raccomandazioni?
Mi sembra un po’ un cane che si morde la coda, no?
Si dice tanto “largo ai giovani” ma poi le vecchie leve si
tengono stretta la poltrona su cui siedono.
Si chiede ai giovani di essere flessibili e di adattarsi ad
un mondo del lavoro completamente cambiato rispetto a quello che conoscevano i
nostri genitori. Peccato che il mondo intorno a noi sia spesso rigido e poco attento
all’ascolto di nuove esigenze.
Senza parlare della serpe in seno che tutti abbiamo continuato
a nutrire, ovvero l’idea che l’ascesa personale e il rispetto sociale si
guadagnino soprattutto grazie alla professione che si esercita. Come se un
lavoro potesse definire totalmente il nostro essere.
In sostanza la Ministra ha detto qualcosa di giusto: prima
di dire che un lavoro o certe professioni fanno schifo o che non fanno per voi,
provatele, mettetevi alla prova e traete le vostre conclusioni. Non bisogna
giudicare il libro dalla copertina.
Ma l’esternazione della Fornero non tiene presente che per
la stragrande maggioranza dei giovani (e meno giovani) la parola “lavoro” è
come una ferita aperta che brucia ogni volta che qualcuno ci soffia sopra.
Certe affermazioni poi, fatte da persone che sembrano non
avere certi problemi, fanno ancora più male.
Quando mi chiedono di descrivere la mia situazione
lavorativa, uso sempre un’espressione: “Ho la data di scadenza. Come il latte.”
Tra un mese e mezzo scado e il pensiero di dover abbandonare
un lavoro che mi piace tanto, mi rende profondamente infelice.
Sono forse troppo choosy se mi auguro di continuare a fare
questo mestiere per tutta la vita?
Giusto per prenderla in ridere (sempre sia lodato chi ha
inventato l’ironia e l’autoironia) e per chi se lo fosse perso, consiglio
vivamente l’intervento di Crozza a Ballarò.
NB: ci tengo a sottolineare che l’espressione dialettale
riportata, non è utilizzata in maniera discriminatoria e non vuole essere
motivo di offesa per nessuno. E’ che spesso dove non arriva l’Accademia della
Crusca (e le mie limitate capacità cognitive), arriva la saggezza popolare.